«C'è qualche negraccio qui stasera? Volete accendere le luci per favore? i camerieri e le cameriere, possono smettere di servire per un momento?..
Che cos'ha detto? C'è qualche lurido negro qui stasera? Si che ce n'è uno perché lo vedo lavorare. Vediamo.. ecco là due luridi negri, e fra quei luridi negri c'è un giudeo usuraio, là c'è un altro giudeo; due usurai e tre luridi negri, e c'è anche uno spaghetti, giusto? Ecco un altro spaghetti e un greco traditore, e poi un paio di spagnoli unti e tre ubriaconi irlandesi vestiti bene, e poi c'è un tipo nero nero, moro, brutto, lurido negro. Ho tre usurai, qualcuno dice cinque usurai?
Siamo a cinque usurai, qualcuno dice sei spaghetti? Siamo a sei spaghetti, qualcuno dice sette negri? Siamo a sette negri. Io passo con sette luridi negri, sei spaghetti, cinque ubriaconi irlandesi, quattro greci traditori e tre usurai.
E con questo siamo arrivati al punto.
E cioè che è la repressione di una parola quello che le dà la violenza, forza, malvagità. Se il presidente Kennedy apparisse in televisione e dicesse: Vorrei farvi conoscere tutti i negri del mio gabinetto, e se continuasse a dire negro, negro, negro a tutti i neri che vede, finché negro non significherà niente, mai più; allora non vedreste piangere un bambino di sei anni perché l'hanno chiamato negro».